Il Direttore Creativo dell’Agenzia di comunicazione PG&W, ci racconta come è nata l’idea della nuova campagna pubblicitaria.
Potrei parlarvi in veste di ideatore della campagna “Imparare a stare nel mondo”, che credo abbiate visto. Oppure come ex-alunno del Sant’Alessandro, dove ho frequentato le Scuole Medie e il Liceo Classico. Ma ho anche una terza chance. Se esiste una memoria del corpo, il vostro ricorda sicuramente le panchine arancioni che compaiono nei corridoi. Oggetti che non si segnalano certo per il comfort, ma in quanto a resistenza possono dire la loro. Sono lì dai primi anni ’70, quando mio padre Riccardo arredò quella che all’epoca era la nuova sede del Sant’Alessandro. Mi piace pensare che il suo lavoro accolga ancora giovani generazioni di studenti.
Ma torniamo alla campagna. Per la sua realizzazione devo ringraziare Francesco Poroli, l’artista che è riuscito a rendere semplice un concetto complesso, e a illustrare il percorso di ogni studente dal Liceo alla vita con un’immagine compatta ma ricchissima di dettagli, un’opera aperta in cui ognuno può leggere un frammento della propria esperienza. Una festa per gli occhi, con molti significati e un baricentro: il duplice significato del titolo. Perché chi frequenta questa scuola non vede solo aprirsi le porte del mondo grazie al metodo Cambridge, ma viene educato a un comportamento che è ancora visibile e riconoscibile dopo anni. Non so voi, ma io uno che ha fatto il Sant’Alessandro lo riconosco subito.
Si tratta di dettagli, ma qui si acquisisce un modo di essere e di fare che è unico, distintivo. Specialmente se si fa il Classico, aggiungo io, ma solo perché sono di parte. È qui che ho imparato un concetto fondamentale: noi abbiamo sempre a che fare con sistemi che producono un significato. Che si tratti di una lingua, un’equazione o un post su Instagram, abbiamo la possibilità di capire come funzionano, e di elaborare strategie che si muovano all’interno delle loro logiche. Letta così sembra difficile, ma vi faccio un esempio: metto un like a un meme su Facebook perché mi piace. Ecco, io mi chiedo “perché” mi piace. È la relazione tra parole e immagini? È il fare riferimento a un codice comune? È la ricerca di stereotipi condivisi?
Beh, non è che mi comporti sempre così, di solito mi accontento del clic o del tap. E ormai farei fatica a tradurre una lapide dal latino. Ma il modo di ragionare m’è rimasto, e lo devo al Classico. A proposito, anche Francesco ha fatto il Classico, non so se mi spiego. Credo che questo tipo di scuola mi abbia dato gli strumenti per affrontare con curiosità e metodo qualsiasi evoluzione o cambiamento. Cioè proprio quello che chiede la società oggi. E sono convinto che chiunque possa postare un video su Tik Tok. Ma uno che ha fatto il Classico Tik Tok lo può inventare.