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Scuola OnLine
Accoglienza 04/04/2022

GUERRA E SPERANZA

DALL’UCRAINA AL SEMINARIO DI BERGAMO: la guerra che da più di un mese sta devastando le terre dell’Ucraina, è ancor più atroce se si pensa a quei milioni di profughi che con dolore e strazio nel cuore, abbandonano tutto, case ed affetti, per una meta non delineata, con la speranza di sopravvivere e, un giorno, ricominciare da capo.
Il Seminario Vescovile di Bergamo
, con don Fabio Pesenti e alcuni alunni dei Licei dell’Opera, ha aperto le braccia, ha donato sorrisi e un aiuto concreto per centinaia di donne e bambini ucraini, gettando così un seme di speranza. 

 

 

Con l’arrivo dei primi ucraini in Italia a seguito dello scoppio del conflitto, è girata in fretta la notizia che il Seminario di Città Alta e il monastero di Matris Domini in Città Bassa stavano mettendo a disposizione alcuni loro spazi per l’accoglienza dei profughi.

Già nel marzo 2020 avevamo messo a disposizione una quarantina di camere singole per medici e infermieri che non potevano tornare a casa durante il lookdown per non correre il rischio di contagiare i propri famigliari. A fronte di questa nuova emergenza e a fronte degli spazi rimasti vuoti in questi anni per la carenza dei seminaristi, il rettore in accordo col vescovo non c’hanno pensato due volte nell’aprire le porte al nuovo bisogno. E ogni giorno c’è qualcuno che arriva e qualcun altro che parte: di fatto il seminario è un luogo di primissima accoglienza per chi giunge a Bergamo tramite il canale della Caritas Diocesana, un primo passaggio in attesa che nell’arco di pochi giorni venga individuata una sistemazione più stabile e definitiva dentro una Parrocchia della bergamasca.

Una nota curiosa in merito: Caritas ha chiesto da subito alle Parrocchie di attivarsi per ospitare i profughi ucraini, tenendo conto che sono accoglienze che potrebbero protrarsi per mesi e forse anche anni. La stima iniziale contava di raggiungere una disponibilità di appartamenti per ospitare un massimo di 120 persone. Ma in pochi giorni l’offerta di case è aumentata fino a raggiungere i 300 posti. E sorprende sentire i racconti di persone che si danno da fare per recuperare mobili, imbiancare stanze, ripulire ambienti per poter dare in fretta una casa a chi è dovuto scappare dalla guerra.

Di fatto, qualcosa di molto simile sta succedendo anche in seminario. Sapere che qui ci sono gli ucraini ha attivato una catena di solidarietà incredibile.

Spesso arriva gente con la macchina piena di cibo o di vestiti. Io stesso ho proposto ai genitori dei seminaristi di portare con libertà un po’ di materiale e ne sta arrivando in continuazione.

La parrocchia di Città Alta si è attivata per proporre due pomeriggi di gioco ai bambini ospiti in seminario. Anche i seminaristi stanno condividendo alcuni momenti di svago con i ragazzi ospiti e nel nostro piccolo abbiamo messo a disposizione per loro il refettorio in cui solitamente mangiamo perché sono più di noi. Ci siamo stretti un po’ perché fossero un po’ più larghi loro.

Pochi giorni fa una mamma mi ha scritto questo messaggio: “Una bambina di seconda elementare, figlia di nostri amici ha voluto donare il suo astuccio e il suo zainetto preferito sperando di portare gioia ad un’altra bambina”.

Insomma, ogni giorno sembra di leggere dei piccoli miracoli dentro al dramma che stiamo vivendo. E mentre si gioisce di tutto questo bene, sorgono nel cuore tante domande che faticano a trovare risposte chiare. Domande anche fastidiose, su cui però serve il coraggio di sostare.

Domande che ho posto a me stesso e che condivido in questo spazio.

Perché siamo arrivati a questo punto? Perché ancora una guerra?

Perché quasi tutti apriamo volentieri le porte a questi profughi, mentre fino a ieri l’atteggiamento verso altri profughi e altre guerre era diverso. Esistono persone di serie A e di serie B?

Come è possibile che di fronte ad alcune questioni, quale il tema dei vaccini ci siamo spaccati così tanto e adesso riusciamo a ritrovare forse una causa comune per cui vale la pena spendersi uno accanto all’altro?

A fronte di quanto ho descritto, è così vero che siamo tutti diventati individualisti e che pensiamo solo ai nostri interessi?

Dentro questo mondo abitato sempre più dalla complessità, dove sembra che l’opinione prevalga sui dati oggettivi e che il sentire personale conti di più della realtà, sapremo ritrovare una bussola che ci permetta di camminare tutti nella direzione di una vita buona e fraterna?

Stiamo sperimentando che non è nemmeno troppo chiaro il confine tra chi fa il bene e chi lo riceve: se da un lato è la gente di Bergamo che si sta attivando per i profughi, mi sembra che siamo più noi a dover ringraziare loro perché il loro arrivo sta risvegliando le nostre coscienze assopite. E la visione del bene reale, fatto e ricevuto, offre uno sguardo nuovo sulla vita tutta, su quella personale e sociale, sulla fede e sulla politica.

Ridimensiona tante cose e rimette tutti al loro posto.

Durante il primo lockdown ci siamo uniti nel dolore, ci siamo detti che insieme ce l’avremmo fatta, che finalmente era la volta buona per capire cosa fosse importante davvero nella vita.

Ma dopo un po’ ci siamo accorti che non è stato proprio così: siamo tornati alla vita di prima, a fare mille cose di fretta, sono tornati giudizi e scomuniche verso chi non la pensa come noi.

La storia ci offre ancora una possibilità dentro a questo dramma: ne sapremo fare tesoro almeno questa volta?

Don Fabio Pesenti

 

 

 

La testimonianza di uno dei nostri studenti:

La guerra che sembrava lontana è arrivata in Europa e ora in parte anche a casa nostra. Nelle ultime settimane il Seminario ha offerto i suoi abbondanti spazi per l’accoglienza di Ucraini, e anche a noi come ragazzi del liceo, è stato chiesto un piccolo contributo, ci siamo messi in gioco!

Mi sono chiesto negli ultimi periodi cosa io come adolescente potessi fare per la pace, per l’aiuto di chi in questo momento ha più bisogno. Non mi sono dovuto troppo ingegnare, la risposta è arrivata da sé. 

Abbiamo condiviso con loro alcuni momenti di ricreazione, gioco, piccole attività, che hanno riempito una parte della loro giornata, della loro vita che dopo lo scoppio della guerra si è stravolta.

Credo che la parola chiave sia proprio condivisione. Noi che siamo sempre stati nelle nostre comodità, nella vita comunitaria di tutti i giorni, abbiamo alzato la testa e ci siamo resi conto che la povertà è una cosa reale. Una povertà di relazioni, di amicizie che ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie ucraine è stata tolta.

Non abbiamo fatto nulla di straordinario, ma con la nostra ordinarietà, che abbiamo saputo condividere con loro, siamo stati chiamati a donare qualche sorriso in più nella loro fatica che non sembra cessare.

Ogni anno nella nostra comunità è la figura di un santo che fa da guida ed esempio. Quest’anno ci sta accompagnando Pier Giorgio Frassati, un uomo nobile di Torino che ha saputo aprire gli occhi, alzare lo sguardo, mettere da parte l’egoismo e la paura per incontrare le povertà del suo tempo. Anche noi in questo momento di difficoltà, ci siamo sentiti chiamati, proprio come Pier Giorgio, a fare la nostra parte.

Santo Belometti 3^SU