– La campana di vetro, Sylvia Plath –
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Nella sua ultima opera Sylvia Plath descrive con minuzia il periodo di crisi che Esther Greenwood è costretta, suo malgrado, ad attraversare.
Al fine di rendere chiara la confusione che la protagonista ha in testa viene utilizzata un’immagine molto particolare, quella di una rigogliosa pianta di fico che, pensierosa, ella si ritrova a contemplare. Occhieggiando i frutti maturati sotto il caldo sole estivo, la ragazza si interroga su quale di essi sia giusto cogliere. Ogni fico rappresenta un possibile futuro da vivere: nel ramo più basso, a portata di mano, troviamo una felice vita domestica, con marito e vispi figli a carico; staccare un altro frutto vorrebbe dire, invece, diventare una famosa poetessa, o abbracciare la vita accademica, o, ancora, ricoprire la posizione di direttrice di una prestigiosa rivista newyorkese. C’è, poi, la possibilità di fare armi e bagagli e lasciare per sempre il paese e vivere in Europa, Africa o Sud America, oppure innamorarsi di diversi uomini, e finire per non amarne davvero nessuno. Al di sopra di tutti questi fichi fanno chiaramente capolino molti altri frutti maturi.
Di fronte a questa rappresentazione mi sono chiesta: quanti di noi si sono trovati nella medesima posizione? Tutti.
Quanti si sono sentiti persi di fronte alla vasta scelta? Quasi tutti.
Quanti avrebbero voluto ricevere un consiglio, una pacca sulla spalla o un sorriso di incoraggiamento? Molti.
Nonostante le oggettive difficoltà e incertezze, le succose primizie stimolano la nostra curiosità: ci sentiamo vivi di fronte all’ignoto perché potremmo diventare chiunque vogliamo.
Cogliere e addentare il violaceo fico che contempliamo da così tanto tempo è più facile di quanto si creda: ci basterà allungare la mano e saltare più in alto che possiamo. Salta, anche se ti fa paura, tu salta.
Indicato per tutti coloro che si sentono inadeguati nella loro stessa pelle. Chiedere aiuto nei momenti di difficoltà non vi farà apparire deboli, bensì tenaci.
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