Educare alla cittadinanza attiva significa anche insegnare a guardare oltre, ad aprire gli occhi e formare menti sensibili all’Altro. Non al diverso, ma al diversamente abile che può anche riscoprirsi campione: nella vita, come sul campo.
I ragazzi del terzo anno del Liceo Scientifico Quadriennale e del Liceo delle Scienze Umane hanno lavorato in questo senso, immedesimandosi per giunta…
La riflessione si fa racconto, l’immaginazione di chi non vede, ma sente, perchè tutti noi dovremmo provare, andare a tentoni, VEDERE davvero cosa significa.
Una studentessa decide di vestire i panni di una ragazza che, esattamente come lei, tuttavia può creare i colori solo nella sua mente.
Un velo color malachite
«Ragazzi, farete tardi!» ripeté puntuale anche oggi il disco rotto, in loop ormai dal 12 settembre.
Qualche caffè in circolo in più, un vano tentativo di sostituire l’elementare maglietta in cotone con una camicetta di seta, corrente delicata e fluida lungo le braccia, e il solito abbinamento con jeans a zampa; un salto veloce in cucina, pervasa dal caratteristico aroma di basilico e rosmarino, in modo da avere qualcosa da mangiare a pranzo e un paio di passi più in là, finalmente un piede dopo l’altro usciamo di casa.
Auricolari e testa completamente persa tra l’odore di erba tagliata e la brezza di inizio estate, giusto per quegli apparenti cinquecento metri, fino all’arrivo “svizzero” di Kate.
Kate è quel qualcosa che tutti dovrebbero avere prima o poi nelle loro vite, è quell’amica con cui il silenzio vale più di mille parole; come direbbe un Bacio Perugina, Kate, è un pezzo del puzzle senza il quale il gioco non andrebbe avanti.
Presa quindi a braccetto la nostra futura candidata a reginetta del ballo, ci dirigemmo verso quel periodo dell’anno pervaso da preparazioni secolari, proposte invasive, vestiti principeschi, immagine, musica, la fine del secondo periodo, vacanze e quella sensazione di completezza mentale e spensieratezza, il ballo di fine anno.
Stesso periodo dell’anno di solito apertamente trascurato e schivato, come pozzanghere in un giorno di pioggia.
Generalmente il nostro tradizionale trascorso di tali festeggiamenti non prevede tante preparazioni o tecniche competitive, conteniamo il nostro entusiasmo dentro ad un vecchio vestito comprato ad una fiera vintage, che aspettava solo l’occasione per prendere un po’ d’aria e scollarsi la scia di antico misto fuori-uso.
Tra un mesetto e mezzo ci saremo dunque trascinate nella mischia con Kyle e Isaac, conosciuti per caso dopo l’ora di chimica, i quali riconosciuto il nostro vendibile interesse per la giornata in questione si sono aggregati al team “gioco per partecipare”.
Kyle: estroverso, aperto, socievole, con sempre qualcosa da raccontare, presentato come abbastanza alto, ciuffo dorato pendente dritto sul viso; Isaac: semplicemente l’opposto, riservato che condivide lo stretto necessario, del quale per ora non ho ancora una descrizione.
Ricordo ancora quella volta, piena giornata d’estate, all’incirca un annetto fa, solo noi quattro e il vento che delicatamente faceva scivolare lunghe ciocche sul viso, campi e ancora campi folti di rigogliosa e fine erba ancora in crescita sotto cielo candido, dicevano, privo di sottile nebbia tangibile come guanti tra le dita.
Spiagge, strade e vicoli immortali lungo la costa frastagliata in incessante antitesi con frangenti, in attesa di svanire sotto il profondo manto del caldo abisso oramai giunto, innocuo e docile, come bagnasciuga a giocare sotto i nostri piedi. Sale sulla pelle e sabbia tra i capelli, due delle cose che più vengono odiate e ammirate in estate; odiate da coloro che vorrebbero solo evadere da questo stato di imperturbabilità e amate da coloro che darebbero anima e corpo per ristabilire ordine tra i loro mille pensieri e togliersi questa pesante sensazione di irrequietezza nel cuore.
Medesimo mare di pensieri era la nostra parte più critica e decisa, in subbuglio per noi, entrambe davanti a un altrettanto numero di scelte e possibilità.
Decidemmo di entrare. Di punto in bianco fummo investite da un’atmosfera barocca e esagerata. Stoffe, pizzi, tulle, strati e spalline quasi impercettibili. La sarta subito si mise a rovistare tra materiali, nastri, fermacapelli e altre cianfrusaglie simili.
Provammo un quantitativo industriale di abiti e dopo qualche oretta finalmente lo trovammo: quello giusto. Kate avrebbe indossato i panni di una vera principessa, il sogno di ogni bambina; tulle morbido e voluminoso rivestito da un manto candido, a lor parere, contornato da strascichi e ricami in pizzo finemente cucito e unito al resto della sua finezza, accostata ad una sottile e impercettibile sottoveste in cotone.
Al contrario non mi immedesimai nel suo stesso ruolo, e qui cade la nostra prima differenza. Leggeri e delicati lineamenti in seta segnavano lievemente il punto vita separando uno scollo a “V” contenuto da una catenella, incrociata lungo la schiena, da una piana e fluida continuazione, interrotta solo da un privato spacco.
Giunta l’ora di calarsi nel ignoto mondo notturno non restava altro che attendere, aspettare e rimanere in attesa del ammutolirsi del ticchettio dell’orologio in tinello.
Aprii gli occhi. Mi ritrovai davanti ad una porta, si poteva scorgere solo una melodia proveniente da oltre di essa, il resto sembrava irrilevante. Indossavo il vestito verde malachite, intrecciato con catenelle dorate.
Non appena oltrepassata la soglia, si rivelò una sala, una sala apparentemente incolume al mondo esterno, quasi illusoria, astratta nella sua perfezione.
Luce candida, accecante e innaturale, pervadeva quella sala contornata da pareti specchiate, finestre incorniciate da drappeggi bianco avorio, in richiamo alle tonalità panna e purè che rivestivano oggetti e persone della bolla dentro cui ci sentivamo protetti.
Calma, tranquillità, armonia e benessere permanevano, come un abbraccio, non uno qualunque, un suo abbraccio, rassicurante, protettivo, caldo e… quasi reale.
La stanza brulicava di persone, tutte pure senza volto, coperte da fluttuanti e leggeri veli che contro ogni legge della fisica rendevano infattibile far loro dono di nome.
Persisteva e opprimeva questa sensazione di compagnia, la sensazione che ci fosse di più, ci fossero di più.
La testa girava e con lei anche la stanza. Occhi puntati, sguardi rivolti. Imminente come l’ombra che si aggirava tra i marmorei vestiti e tavoli, sparire dietro persone e riapparire in conversazione ad altre. Una figura alta. Un velo nero. Incontrollabile e imprevedibile, come il suo carattere.
Seduto al tavolo. Poi venire da dietro un drappeggio. Nuove porte aperte. Specchi moltiplicarsi e secondi passati come granelli di una clessidra.
La stanza come illusione. Una sala d’attesa, in attesa solo che cessi l’ignoto.
Come un vaso di Pandora in bilico pronto ad implodere.
Di punto in bianco la sala calò in un oblio, vuoto, fermo e corrotto.
Silenzio.
Solo assordante silenzio.
Invitati come statue, immobili dinanzi qualcosa.
Mi voltai con occhi serrati.
Era lui. Immobile, privo di espressioni.
I granelli ormai mangiavano i primi centimetri del vestito. Inconsciamente tempo scadeva.
Respiro.
Mi avvicino, tendo la mano e esitante la pongo sul velo, maschera d’identità.
Secondi passano e la stanza confonde colori e forme.
Confusione annebbia e ragion non spiega.
Oggetti spariscono in questo vortice di menzogna e inganno.
Rimaniamo solo noi, io e quel che c’è realmente dietro questa maschera.
I granelli scarseggiano e i secondi con loro.
Strappo il velo e in fumo con lui va anche il suo volto.
Svanito.
Dissolto.
Specchi in frantumi, pareti che cambiano forma, pavimenti che si incurvano e figure che svaniscono come colori e forme, luce e ombre, sguardi e veli; infine il buio.
Solo un mondo dentro una bolla che non riusciva più a trattenere tutto ciò, tutti questi caratteri nuovi cui non è abituato.
Verde malachite…un bel colore si direbbe, pensai prima di sentire puntuale come un orologio svizzero: «Ragazzi! Farete tardi a scuola!».
Il “gran giorno” dicono alcuni, altri si astengono da attività del genere, mentre altri hanno già avuto la loro possibilità, come me.
La sera Isaac mi attese sotto casa, prima di partire mi diede un fiore e mi disse:
«Quanto vorrei tu potessi vederti in questo momento»
«Quanto vorrei tu fossi reale anche nella mia testa, non solo con un velo color verde malachite»
Greta Simat – 3^Q