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Scuola OnLine
Ex prof. 21/02/2022

“DON SANA” – ancora un ricordo

Il ricordo del Monsignore è vivo e partecipe nei cuori di chi gli ha voluto bene.
Riportiamo altre affettuose parole, certi di commuovere e strappare ancora un sorriso a molti. 

 

 

Quando mi è stato chiesto di raccontare qualcosa sulla figura di Mons. Achille Sana, più che tante parole mi sono tornate alla mente alcune sue immagini e allora attraverso queste cerco di esprimere i miei ricordi che rimandano  a una figura importante per la storia della nostra scuola.

 

Prima immagine: “penna, carta (un grande libro) e calamaio”, in compagnia di una frase che tanti professori ricorderanno “carta canta”.

Mi ha sempre colpito la sua perizia e l’eleganza del tratto nell’usare la stilografica per compilare i registri durante gli scrutini e poi come non ricordare alcuni imprevisti (il calamaio che si rovescia e l’inchiostro che macchia tutto …) e la frase detta in certi momenti in modo deciso “Professore, carta canta!”. Qui mi viene da pensare al preside e rettore di altri tempi, ancorato per alcuni al passato e per altri invece testimone di una tradizione da custodire, a cui ispirarsi e da traghettare nei tempi nuovi (“tradizione e innovazione”, suonava più o meno così uno slogan che presentava il Sant’Alex alcuni anni fa).

 

Seconda immagine: “Ciao don Fabio, … scusa l’orario”.

Collegio dei docenti: tante cose da discutere, opinioni diverse, gli animi anche tra i prof. a volte, per passione, si scaldano un po’. Non mi trovo in sintonia con alcune parole con cui Mons. Sana sottolinea in modo critico e deciso un intervento del padre spirituale (allora c’era anche questa figura nella nostra scuola, ma erano altri tempi …), prendo la parola e, con una certa passione, lo faccio notare. Risultato risposta ancora più decisa e perentoria.

La stessa sera a casa, quando la giornata sta per finire, suona il telefono e alla mia risposta sento la voce di don Sana: “Ciao don Fabio, … scusa l’orario, sono don Achille, a proposito di oggi mi devo sinceramente scusare”. Un uomo di sincera umiltà e desideroso di custodire, se possibile, ogni relazione.

 

Terza immagine: in ginocchio tra i banchi della nostra chiesa.

Quante volte mi è capitato di passare nella chiesa del collegio in momenti diversi della giornata e, nella penombra, intravedere la sua figura in veste nera, la talare, con le ginocchia piegate e raccolta in una preghiera silenziosa, mentre intorno la vita della scuola correva con le sue campanelle e l’alternarsi di voci e silenzi. Don Sana uomo di sincera fede.

 

Quarta immagine: l’ultima Santa Messa nella nostra scuola.

Ultima immagine: non solo per questo ricordo, ma anche perché è stata proprio l’ultima volta che sono riuscito a incontrarlo.

Non dimentico la sua commozione, i suoi occhi lucidi, la voce che a un certo punto si incrina … nostalgia che dal cuore passa sul volto e nella voce, ricordi sereni e tristi che prendono il sopravvento, ma in quel momento, io credo, espressione anche di un grande affetto pieno di dedizione per le tante ragazze e i tanti ragazzi che sono passati negli anni dell’impegno di Mons. Sana nella scuola e di gratitudine per quanti si sono trovati a condividere con lui il cammino.

A conclusione della celebrazione, in sacrestia mentre lo saluto, una frase “E’ l’ultima volta che passo di qui!” accompagnata da un sorriso. Nel tempo ripensandoci ho sempre interpretato questo breve scambio di parole come l’espressione della consapevolezza che il suo tempo stava giungendo al termine, ma nella sua fede, questo tempo stava lasciando il passo all’orizzonte che non finisce.

 don Fabio Carminati

 

 

…Riguardo a Mons. Achille Sana si potrebbe scrivere un libro ed in effetti c’è chi l’ha fatto, un suo ex-alunno. Qui mi limiterò a raccontare due episodi personalissimi che segnano l’inizio e la fine del mio rapporto con lui. La prima volta che lo conobbi fu per quel famoso colloquio, già citato precedentemente, che dovetti fare per essere ammesso alla classe successiva e cioè la quinta. Mons. Carrara era assente e quindi andai da don Sana (non era ancora monsignore). Parlammo di filosofia, S. Agostino e la concezione del tempo per un’ora abbondante anche se non ricordo più il perché. Io non avevo ancora la minima idea che avrei studiato filosofia all’università, volevo fare biologia allora, ma forse lui lo aveva già intuito con quella sua abilità di saper guardare ‘dentro’ alle persone. Non mi sono mai spiegato la cosa, ma così accadde; fu poi lui stesso ad assumermi proprio come docente di filosofia. Chissà se ha mai avuto memoria di quel colloquio, non gliel’ho mai chiesto. L’ultima volta che lo incontrai fu anche l’ultima volta che mise piede nella ‘sua’ scuola, quella scuola a cui aveva dedicato la vita intera: sapevo che fosse stanco e malato, ma per la ‘sua’ scuola affrontò l’ultima fatica. Era la messa della scuola per le vacanze di Natale del 2017. Accompagnai la classe e corsi in sacrestia, dove incrociai lo sguardo di don Sergio che mi indicò dove fosse senza che io pronunciassi parola: lo vidi, mi vide. Mi stritolò la mano, la stretta di mano di Mons. Sana era proverbiale, ma stranamente era la prima volta che la sperimentavo di persona. Mi guardava dritto negli occhi e io gli dissi: “Non ce la fa proprio a star lontano dalla sua scuola”. Mi abbracciò e mi colse impreparato: la mia generazione era stata educata ad un rispetto totale per la figura sacerdotale, contatti fisici così ‘intimi’ erano fuori luogo, si staccò e con le lacrime agli occhi e con quel filo di voce che la malattia, ormai in stato avanzato, gli concedeva mi disse: “Dighe me… dai, dai…

Augusto Morosini

Per la testimonianza integrale:

https://licei.osabg.it/wp-content/uploads/2021/04/Il-ricordo-dei-padri-fondatori_a.morosini.pdf

 

Se penso a monsignor Sana, vedo la sua lunga veste talare indossata quotidianamente (però l’abbiamo visto anche in maglione e pantaloni in qualche cena informale) veste che rendeva la sua figura iconica e significativa: era il segno immediatamente tangibile dell’orizzonte entro il quale si muoveva, non solo terreno, pur nell’empatia con cui partecipava a gioie e dolori, vittorie e sconfitte, passioni e dubbi dei suoi alunni e docenti.

Se penso a monsignor Sana, sento ancora l’eco dei nostri animati collegi docenti: tot capita, tot sententiae, eppure monsignore sapeva mediare e trovare la sintesi, valorizzando i talenti di ciascuno. Per quello che mi riguarda, avevo gli spazi per organizzare cineforum, girare corti, partecipare a concorsi.

Se penso a monsignor Sana, gusto ancora l’ironia delle sue battute, la bonomia del suo sguardo, la finezza del suo intuito.

Quando è stata smantellata la sua biblioteca personale e abbiamo potuto prendere qualcuno dei suoi libri come ricordo, ho scelto Robert Dottrens, L’insegnamento individualizzato, Roma 1969, di cui riporto una frase: “Il lavoro individualizzato non consiste per noi nel fare eseguire individualmente il medesimo compito a tutti, ma nello scegliere per ognuno quello che più gli conviene”. È ciò che monsignor Sana ha fatto per tutta la vita ed ha insegnato a noi, suoi docenti.

Giuseppina Zizzo